MARCO D’AGOSTIN / Garden Of Memories @Artists in ResidenSì 2021
MARCO D’AGOSTIN
Garden Of Memories
@Artists in ResidenSì 2021
Da anni la ricerca di Marco D’Agostin si interroga sul ruolo e sul funzionamento della memoria, mettendo sempre al centro del proprio interesse la relazione tra performer e spettatore. La coreografia, che considera il passato come il luogo del ritrovamento ma anche dell’invenzione, si dispiega a partire da archivi che intrecciano la dimensione intima e sentimentale con quella collettiva. Lo spettatore, cercato e interrogato dallo sguardo e dall’azione dei performer, è stato sempre silenziosamente invitato a mettere in campo la propria presenza e i propri ricordi. La danza, una geografia complessa in cui suoni, parole e movimenti collidono di continuo, è stata tesa verso la compromissione emotiva di chi la compie e di chi la guarda.
La residenza di D’Agostin – svoltasi tra gennaio e settembre 2021 – è stata l’occasione per approfondire la ricerca su tre progetti, che hanno declinato in maniera diversa ma complementare le questioni più vive nella sua ricerca.
- Il primo è stato Playground, un assolo/ritratto pensato per Andrea, ex giocatore di basket freestyle, cantante e musicista. Il solo, prodotto da ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, è stato pensato come ideale gemello di First Love, il lavoro in cui Marco D’Agostin trasformava in una danza nostalgica la propria esperienza di ex sciatore di fondo agonista.
- Il secondo progetto è stato Between the pages, un video ideato da Marco D’Agostin e girato da Matteo Maffesanti, in collaborazione con la danzatrice Marta Ciappina. L’opera video è stata una commissione di Susanne Franco, che per l’Istituto Italiano di Cultura di Mosca nel 2021 cura il progetto Coreografie del tempo. Un’indagine in sei tappe.
- Il terzo è stato Saga, un progetto coreografico che ha messo alla prova la nozione di “famiglia”: “ai bordi di una radura, oppure al centro di un antico salone andato in rovina, intravedremo 5 esseri umani. Non si sono interessati ai loro legami di sangue; hanno considerato invece l’apparizione e la dissoluzione di una famiglia come il luogo della pura elezione, un modo di abitare il mondo assieme e dunque di danzarlo”.
La residenza artistica di Marco D’Agostin è stata accompagnata dallo sguardo di Chiara Bersani.
Sabato 25 settembre, in chiusura della residenza e in occasione dell’Opening del Sì 2021/22 Quando prende corpo, e in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro / Personale di Marco D’Agostin, 21-26 settembre 2021, è stato presentato al pubblico il cortometraggio Dear, seguito da un incontro con il pubblico moderato da Alessandro Iachino | Stratagemmi.
Il cortometraggio Dear è stato tratto dal progetto Coreografie del tempo. Un’indagine in sei tappe di Susanne Franco, in collaborazione con Memory in Motion. Re-Membering Dance History (Mnemedance, Università Ca’ Foscari Venezia, 2019-2022), prodotto dall’Istituto Italiano di Cultura di Mosca con il sostegno di Ateliersi – Artists in ResidenSì 2021.
Dear > scheda artistica
“Il danzatore e coreografo Nigel Charnock (morto nel 2012) è tra i fondatori dei DV8 Physical Theatre negli anni ’80. Con i suoi spettacoli, esplosioni ipercinetiche in cui il canto, la danza, il grido, l’improvvisazione, la finzione e la realtà palpabile della performance restavano affacciati su un vuoto abissale, ha sfidato i limiti del genere “danza contemporanea” ed è sembrato incarnare alla perfezione quella possibilità dell’arte che David Foster Wallace avrebbe forse chiamato “failed entertainement”. In lui tutto era energia, desiderio, volontà. Eppure, come disperatamente ripete nel suo solo One Dixon Road, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”: non c’è nient’altro, niente, niente ha senso.
Il mio incontro con lui, avvenuto nel 2010, ha segnato in modo netto il mio modo di pensare la danza. Nigel ha rappresentato ai miei occhi la possibilità che in scena tutto possa accadere ed esplodere, fino all’esaurimento delle forze.
In questi anni l’ho cercato di continuo: nei video, nelle foto, tra le pagine dei suoi diari, nelle memorie di chi lo ha visto sulla scena e di chi lo ha conosciuto. Contrariamente al vecchio adagio secondo il quale la danza è la più effimera tra le arti, la presenza di Nigel sembra aver lasciato tracce nitidissime: un po’ come la radiazione cosmica di fondo che ancora rivela l’eco del Big Bang.
Con Dear metto il mio corpo alla ricerca di quello di Nigel, della sua danza disperata. Carni arrendevoli ed ossa liquide per farsi attraversare dai suoi movimenti, dalla sua voce. Il ricordo personale, assieme alla memoria collettiva, concedono un’ultima possibilità di riafferrarne l’immagine, di rimaterializzarlo qui e ora.
Cosa fare nel luogo lasciato vuoto da qualcuno? Come danzare alla sua ombra, come ri-significare questo vasto e deserto spazio di possibilità?” (M.D’A).